Quando Nick Fury,
Direttore dello S.H.I.E.L.D. si trova di fronte a situazioni delicate che non
possono essere affrontate con mezzi convenzionali chiama un team di specialisti
capaci di affrontare missioni apparentemente impossibili e portarle a termine
con successo uscendone vivi.
Ma anche questi
superagenti sono esseri umani dopotutto e ogni tanto devono staccare e
riprendere contatto con il mondo e la gente comune. Per quelli come loro, però
vale fin troppo spesso il vecchio detto: “Non c’è riposo per lo stanco”.
#25
VITE
IN GIOCO
Di
Carlo Monni & Carmelo Mobilia
Lee Academy, Connecticut
Il professor Steve Rogers scese dall’auto sportiva e la bella donna dai capelli neri e crespi alla guida gli disse
<Ci vediamo più tardi allora.>
<Per me va bene, dovrei…>
Lei non lo lasciò finire e lo spinse verso di sé baciandolo in modo appassionato.
<Maria!> esclamò Steve arrossendo ma lei era già partita sgommando.
“Sarà a New York in mezz’ora con quella velocità”, pensò Steve scuotendo la testa “Sempre che la Polizia di Stato non la fermi prima s’intende.”
Si avviò verso la palazzina senza essere nemmeno consapevole degli sguardi che gli rivolgevano i colleghi insegnanti e gli alunni che si chiedevano dove avesse conosciuto una donna come quella e c’era una vena di invidia in diversi di loro.
Steve non se ne curò ed entrò in classe. Attese che tutti gli studenti fossero a posto quindi cominciò la lezione:
<Oggi parleremo dei cosiddetti pittori maledetti…>
La lezione proseguì tranquilla. Steve, lo riconoscevano in tanti, sapeva come tenere desto l’interesse dei ragazzi, peccato che tenesse lezioni per non più di un paio d’ore la settimana.
Al termine uscì dall’aula lanciando uno sguardo ad uno dei suoi studenti più problematici: Hiram Riddley. Sperava che il discorso che aveva fatto poco tempo[1] prima gli avesse dato la scossa necessaria per riprendersi, ma non poteva esserne sicuro. Doveva provare a parlargli ancora.
Bucky gli diceva spesso, scherzando ma non troppo, che lui aveva una predisposizione innata ad agire da padre o fratello maggiore con chi gli stava intorno. Il che gli ricordò improvvisamente una cosa.
Prese il telefono e premette un certo tasto di chiamata rapida.
<<Villa Carter.>> rispose la voce professionale del maggiordomo.
<Smithers, sono Steve Rogers, posso parlare con Sharon o Shannon?>
<<La signorina Carter è fuori e la signorina Shannon è a scuola.>>
Ovviamente. Dove aveva la testa?
<Puoi… puoi riferire a Sharon che stasera o domani vorrei passare a trovare Shannon?>
<<Lo farò sicuramente, sir e se mi permette… Miss Carter mi ha
lasciato detto che lei è il benvenuto in questa casa anche in sua assenza ed io
sono convinto che Miss Shannon possa avere solo bene dalle sue visite.>>
<Me lo ricorderò, Smithers, grazie.>
Riponendo il telefono Steve non poté non fare un rapido calcolo di quanto fosse lontana la Virginia. Se avesse telefonato a Donna Maria Puentes, sarebbe stato ancora in tempo a modificare i suoi piani.
Ambasciata della Federazione Russa. Washington D.C.
Il colonnello Anatoly Vladimirovitch Serov, rezident[2]
del G.R.U.[3]
negli Stati Uniti stava parlando con il suo omologo del S.V.R.[4]
Maksim Dimitrovitch Kovalesky, che indossava un severo completo scuro in
contrasto con la divisa e le mostrine di addetto militare dell’altro.
<Dunque possiamo ringraziare la Vedova Nera, anzi due Vedove Nere,
per aver evitato un disastro.>. stava dicendo Kovalesky.
<Per vostra fortuna.> ribatte Serov <L’aspirante assassina del
Presidente degli Stati Uniti era una di voi, un’agente del S.V.R. per quanto le
fosse stato fatto il lavaggio del cervello.[5]
Ha comunque combinato parecchi danni e se fosse riuscita nel suo intento,
sarebbe andata anche peggio per voi.>
<Il Direttore è stato costretto a dimettersi con maligna
soddisfazione di quel bastardo di Menikov>
<Sta consolidando il potere del suo F.S.B.[6]
e sta cercando di ampliarlo a danno di tutti gli altri servizi.>
<Ancora non ho capito se un furbo ambizioso o un utile idiota
manovrato dal Segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale.>
<Io non lo sottovaluterei, Maksim Dimitrovitch. Alexei Mikhailovitch
l’ha fatto e guarda com’è finito.>
Serov si riferiva a Alexei Mikhailovitch Vazhin, l’ex direttore del
F.S.B. ora incarcerato nel tristemente famoso palazzo della Lubyanka a Mosca.
Kovalesky decise di cambiare discorso:
<La tua Vedova Nera è una risorsa preziosa per voi. Curioso che non
l’abbia sentita nominare spesso ultimamente. La state usando sotto
copertura?>
<Qualcosa del genere.> rispose evasivo Serov. Non aveva nessuna
intenzione di rivelare al collega e rivale quale fosse la vera missione di Yelena
Belova e quanto fosse delicata.
Sobborghi di Pittsburgh,
Pennsylvania.
Il pub “Bounty” prendeva il nome dal celebre film con Marlon Brando.
Era un posto accogliente, dove vedere la
partita il sabato sera bevendosi una birra gelata o farei una bella partita a
biliardo. Ogni tanto facevano anche della musica dal vivo, dando ad alcuni
gruppi emergenti la possibilità di farsi notare.
A Jack Monroe piaceva venire qui, quand’era nei paraggi. Ci veniva da
anni, tant’è che aveva stretto amicizia con il proprietario, Francis Kolins. Al
vecchio Francis Jack piaceva; nonostante il ragazzo fosse più giovane di lui,
avevano gli stessi gusti in fatto di film e musica, il che lo trovava curioso.
Ovviamente non era al corrente del fatto che Jack avesse passato gran parte
della sua vita in animazione sospesa dal 1954 ai giorni nostri, ma questo non
gli aveva impedito di stringere con lui una bella amicizia.
Jack era un tipo solitario, non legava molto con la gente. Ma aveva a cuore le persone che
con lui erano state buone. E Francis era una di queste.
Era salito a bordo della sua rombante moto per farsi un giro e staccare
al spina dalla sua recente attività di spia supersegreta e aveva pensato bene
di andare a trovare questo suo vecchio amico.
<È aperta questa baracca?>
chiese entrando. Francis era dietro il bancone a cambiare i fusti di birra;
aveva aperto da poco e c’erano ancora le sedie sui tavoli.
<Ho appena aperto, deve aspettare un momento.>
<Aw, ma io ho sete adesso. > disse Jack, con un finto tono polemico,
togliendosi gli occhiali a specchio e mostrando il suo volto all’amico, in modo
che questi lo riconoscesse.
<JACK!> esclamò Francis <Come stai pellegrino?>
<Ciao vecchio mio...> rispose Jack abbracciandolo.
<Che ci fai da queste parti, ragazzo?>
<Nulla di particolare, ero solo stufo dell’aria di New York. Avevo
bisogno di staccare un po’ e di rivedere facce amiche.>
<Hai fatto bene... sono secoli che non ci vediamo! Vieni, ti offro da
bere.> Francis stappò due bottiglie di Bud e si sedette ad un tavolo con il
suo ospite.
<Allora ... come te la passi, vecchio? Gli affari ti vanno bene?>
domandò Jack. Il suo amico però cambiò espressione e si fece scuro in volto,
<A dire il vero Jack, le cose
non mi girano bene... sono nella merda,
amico, e rischio di affogarvi.>
<Vuota il sacco amico... di che si tratta?>
<Vedi, è arrivato un nuovo tizio in città, un imprenditore, che ha
aperto una specie di centro commerciale poco distante da qui.>
<Si, l’ho visto arrivando ...>
<Beh sembra che voglia il terreno dove sorge il mio locale per farvi
un nuovo mega-parcheggio per i suoi clienti. All’inizio mi ha fatto un’offerta,
ma io l’ho rifiutata ... lo sai, questo locale è tutta la mia vita e amo il mio
lavoro. Allora ha iniziato con metodi più... intimidatori. >
<Che ha fatto?> chiese Jack, dopo un sorso dalla bottiglia.
<Danneggiato il locale, spaventato i clienti... le solite cose. Ho
provato ad andare dalla polizia ma ...>
<Non hai le prove.> disse Jack, amaro.
<Esattamente.> rispose Francis, laconicamente.
<È sempre così, coi vermi del
genere. Sono bastardi furbi.> aggiunse Jack, riattaccandosi alla bottiglia.
Poi chiese:
<Come si chiama, questo tizio?>
<Paul Button.>
<Voglio farci due chiacchiere...>
disse ancora Jack, facendo un ghigno da monello.
New York.
Jorge Santiago era il cugino preferito di Donna Maria Puentes. Erano cresciuti insieme come fratelli e in
pratica erano l’una il confidente dell’altro. Jorge era la “vergogna” della
famiglia, in quanto il loro cugino Hector, l’ex dittatore noto come “il Maiale”
lo aveva ripudiato perché era omosessuale. Donna Maria, invece, lo aveva sempre
protetto e interceduto per lui. Quella sera i due si erano ritrovati in America
a prendere un caffè insieme dopo tanto tempo di conversazioni telefoniche;
Jorge infatti si trovava nella grande mela per fare un master di informatica.
<Sono così contenta che tu sia qui.> gli disse lei, dolcemente.
<Anch’io cuginetta. Mi sembra di stare in un film; qui è tutto così... perfetto! Non penso che
mi ci abituerò mai... tu invece ti muovi
come una perfetta newyorkese.>
<All’inizio anche per me è stato ... traumatico, diciamo, ma dopo un
po’ ti ci abitui.>
<Allora Maria... mi parli del tuo misterioso cavaliere biondo? Per
telefono mi sei sembrata molto presa da lui... e fattelo dire, la cosa mi ha
molto sorpreso. Non è da te una cotta del genere...>
<Beh lo sai... sono stata con diversi uomini e...>
<Si che lo so... ho perso il conto!>
<SCEMO!> disse lei, sorridendo e dandogli un buffetto per
l’allusione maliziosa.
<No seriamente... di solito in una relazione sono io quella che ...
gestisce il rapporto, e che suscita nell’altro insicurezza e gelosia. Ma
stavolta... è diverso.>
<In cosa?>
<Lui è così forte, premuroso e così... buono. È totalmente diverso da qualsiasi altro uomo
che io abbia mai conosciuto.>
<Sembra quasi perfetto... sono quasi invidioso. Qual è il problema
allora?>
<Il punto è che non sono certa che lui ... sia altrettanto preso da
me. >
<Cosa? Come puoi pensare che possa resisterti? Non credo che esista
uomo che possa farlo ...>
<Te l’ho detto, lui è diverso. Ho preso io l’iniziativa e l’ho colto
un po’ alla sprovvista... è stato tutto talmente veloce che nessuno dei due ha
avuto il tempo di pensare a quant’è seria questa storia e... insomma, io non
sono del tutto certa che abbia dimenticato la sua ex. Credo che tra loro ci siano ancora delle cose
non dette.>
<Con lui ne hai parlato?>
<No> ammise lei <Devo confessarti che non ne ho il coraggio. Ho
paura della risposta. Sto cercando di rimandare questa conversazione il più tardi possibile.>
<Ma non puoi stare nell’incertezza Maria. Io ne morirei. Cioè se
uscissi con un uomo che pensa ancora alla sua ex, vorrei chiarire la cosa al
più presto, prima che il rapporto sia faccia troppo serio. Più passa il tempo,
più rischi di affezionarti e di soffrirci, lo capisci?>
Lo sguardo sconsolato di Maria era una risposta eloquente.
Brighton Beach, Brooklyn, New York.
Il luogo era un piccolo ma delizioso ristorantino etnico di quella parte
della città nota colloquialmente come Little Odessa. Da quello che Yelena
diceva, vi si faceva la migliore cucina russa e ucraina di tutta la città e
James Buchanan “Bucky” Barnes non faceva fatica a crederlo perché lì il cibo
era decisamente buono, doveva ammetterlo. Aveva finito con l’apprezzare la
cucina russa nel periodo in cui gli era stato fatto il lavaggio del cervello ed
era stato trasformato nel Soldato d’Inverno, un assassino al servizio del KGB,
periodo che da quel punto di vista avrebbe preferito dimenticare, ma che
purtroppo era ben vivido nella sua memoria e gli provocava ancora incubi.
<Ti vedo pensierosa, Yelena.> disse infine alla sua compagna
<Stai ancora pensando alla Vedova Rossa?>
<Stavo pensando che avrei potuto esserci io al suo posto.> rispose
Yelena <Potevano scegliere me se avessero saputo dove trovarmi.>
<Quindi è un bene che tu sia nei Vendicatori Segreti.>
<È un bene perché ho conosciuto te.>
Yelena allungò la mano a sfiorare quella di Bucky che si sentì un po’
imbarazzato da quella manifestazione d’affetto un po’ insolita per lei.
Yelena era una gran bella donna e a
letto era una vera bomba. Si erano trovati quasi per caso, unendo le loro
solitudini ma era il caso per lui di impegnarsi in una relazione seria? Non
sapeva trovare una risposta.
<In una cosa sbagli.> le disse
<Potevo esserci io: anche a me hanno fatto il lavaggio del cervello.
Anch’io sono stato condizionato ad uccidere. Proprio come la tua amica.>
<Non eravamo amiche.> ribatté lei <Avremmo potuto esserlo,
però, e questo è uno dei miei più grandi rammarichi. Tuttavia… anch’io sono
un’assassina e sono pur sempre un’agente Russa. Sei davvero sicuro di poterti
fidare di me?>
<Come di me stesso.> replicò Bucky con convinzione <Ma lasciamo
perdere questi cupi discorsi e andiamo a casa.>
Yelena sorrise.
<Il mio appartamento è giusto dietro l’angolo.> disse.
<Magnifico. Che aspettiamo?> ribatté Bucky.
Pagò il conto nonostante le proteste di Yelena ed uscirono a braccetto.
Non fecero caso alla donna seduta ad un tavolo d’angolo che li seguì con lo
sguardo finché non furono usciti e poi si alzò per lasciare a sua volta il
locale.
Attese che fossero entrati nel condominio di Yelena e, usando la lingua
russa, sussurrò in un laringofono che nascondeva nella collana:
<Agente Palacha a Krasnyy Cherep. Il
soggetto Zimoy Soldat e il soggetto Chernaya Vdova sono entrati
nell’appartamento di lei ed è presumibile che ci rimangano tutta la notte.
Attendo ulteriori istruzioni.>
Sotto il trucco che aveva usato per non essere
riconosciuta gli occhi della donna brillarono di soddisfazione. “Nessuno sfugge
all’Esecutrice” pensò “Nessuno”.
Periferia di Pittsburgh.
Non fu difficile trovare la casa di Paul Button, non erano in molti a potersi permettere una lussuosa villa come quella. Jack detestava quel tipo di abitazione. Era agli antipodi con la filosofia di vita di un uomo che aveva scelto di chiamarsi Nomad. La rombante BMW varcò il cancello: il padrone di casa stava rientrando dalla sua serata in città. Era in compagnia di una bella donna, cosa che era prevedibile.
Jack avrebbe voluto evitare alla bella signorina quello che aveva in programma, ma “per fare una frittata devi rompere qualche uovo” pensò.
Penetrare nella villa senza far scattare gli allarmi non era certo un problema, per il neo agente segreto.
Anche mettere KO i gorilla fu un gioco da ragazzi, per lui. Arrivò di soppiatto nel soggiorno, dove Button e la sua ospite si dedicavano alla consueta manfrina prima di passare all’intimità: lui metteva un po’ di musica, abbassò le luci, e le preparava un drink, mentre lei aspettava sul divano.
Presto l’atmosfera si sarebbe fatta rovente, ma Jack non era lì per fare il guardone.
<Che tattica adottare?> si domandò <Bufalo o serpente?>
Con un forte calcio spalancò la porta del soggiorno, facendo il suo ingresso.
<AAAAAAAH!> gridò la donna, terrorizzata. Paul Button fece cadere il drink per lo spavento.
“Ah, ma perché continuo a domandarmelo?” pensò Jack fra se “e loro facce mi ripagano della fatica, ogni volta.”
<TI FARO’ IMPICCARE PER QUESTO!!> gridò Button furioso; in tutta risposta Nomad tirò fuori dall’impermeabile un fucile a pompa. La vista dell’arma gelò in sangue del ricco imprenditore e della sua accompagnatrice.
<N-No, a-aspetta... possiamo trattare... s-sono un uomo molto ricco...>
<Non fai più lo spaccone eh Button? Già, questo gioiellino è un tranquillante migliore del Malox ... i tuoi guardaspalle sono K.O., e anche la linea telefonica è out. Ah e non provare a prendere il tuo cellulare o ti faccio saltare una mano, intesi? Anzi, lanciamelo qui. Il tuo e anche quello della tua amica.>
I due eseguirono senza fiatare. La ragazza iniziò a piangere.
<Bravo. Sei abituato a dare ordini, ma vedo che sei molto bravo anche ad eseguirli...> disse ancora Jack, sorridendo in modo perfido.
<C-Che cosa vuoi? S-Soldi?>
<No Paulie... non voglio i tuoi soldi. Sono qui per parlare di affari.>
<Come?>
<Mi hai capito bene. Mi riferisco al Bounty, il pub che stai cercando di farti svendere. Vedi, mi piace quel posto. È uno dei miei preferiti, da queste parti. E non sono molti i posti a cui io mi affeziono, credimi. Ora, la mia proposta è la seguente: tu lasci in pace il vecchio Francis e la smetti di mandare i tuoi scagnozzi a sfasciargli il locale o a spaventargli la clientela e io non ti faccio saltare le cervella. Come la vedi?> esclamò puntandogli la canna del fucile a pochi centimetri dal naso.
Button sudava come una cascata.
<OK, v-va b-bene.> rispose, con un filo di voce.
<Bene. Sono contento che ci siamo intesi.>
Jack prese le cartucce del suo fucile e le lanciò ai piedi dell’uomo.
<Queste come promemoria. Se non manterrai la promessa, la prossima volta te le scaricherò nel petto.>
Abbassò gli occhiali a specchio e lo fissò negli occhi, duro.
<Non sto scherzando. Non mettermi alla prova. >
Poi se ne andò, lasciando la coppia tremante.
Sulla strada, Jack pensò che forse Steve non avrebbe approvato questo tipo di condotta. Ma era questo lo stile che più gli si addiceva. Non ricordava l’ultima volta che s’era divertito tanto.
Los Angeles, California
Era mattino presto quando Sharon Carter entrò nel locale nei pressi dell’aeroporto e si diresse verso il tavolo dove sedeva un uomo di circa quarant’anni dai capelli castani e le tempie bianche.
<Ti ringrazio di essere venuto, Jerry.> lo salutò sorridendo <Sono felice di rivederti.>
<Era il meno che potessi fare per una vecchia amica e collega.> rispose l’agente dello S.H.I.E.L.D. Jerry Hunt <Com’è andata la tua missione “privata”?>
<Bene, tutto sommato.> rispose lei restando sul vago <Ti ringrazio ancora per l’aiuto e il… supporto logistico.>
<Non dirlo nemmeno.> si schermì lui poi le chiese <Quali sono i tuoi progetti adesso?>
<Riposarmi qualche ora e poi prendere il primo aereo per la Virginia. Se non lo sai, ho una figlia che mi aspetta.>
Jerry rimane un attimo silenzioso e poi dice:
<Sei una donna fortunata, ma credo che tu lo sappia. E anche il padre di tua figlia, direi.>
<Noi… non stiamo insieme. È… complicato.> replicò Sharon facendosi cupa.
Jerry decise saggiamente di non approfondire e aggiunse:
<Su, andiamo. La mia auto è qui fuori. Ti accompagno al mio appartamento potrai starci quanto vuoi.>
<Non posso permettertelo, Jerry. Mi fermerò ad uno dei motel nelle vicinanze.>
<Non se ne parla nemmeno. Tanto io starò fuori tutto il giorno e non ti darò noia.>
Sharon smise di protestare e seguì Hunt nel parcheggio dove li attendeva una Porsche Boxster Spyder 981 blu.
<Dotazione standard S.H.I.E.L.D. vedo.> commentò Sharon salendo a bordo.
<Sportiva e dotata di tutti i comfort.> rispose l’agente <E se il traffico è lento, possiamo sempre sorvolarlo.>
Fort Lee, Bergen
County, New Jersey
La ragazza era in sella ad una potente moto ferma sul ciglio della strada ed osservava il ponte davanti a lei, il famoso Ponte George Washington attraversando il quale sarebbe stata finalmente a New York . Sembrava giovane ma aveva l’aria di chi nella vita aveva visto troppe cose e non tutte belle. I suoi capelli erano color biondo veneziano e gli occhi azzurri e tristi. Indossava un giubbotto di pelle marrone sopra a un body a strisce bianche e rosse che le lasciava le gambe nude a parte alti stivali blu. Le mani erano coperte da guanti blu. Si aggiustò sugli occhi una mascherina domino azzurra, poi infilò in testa un casco con i colori della bandiera americana e partì imboccando con decisione il ponte.
Alle sue spalle, una Lincoln towncar imboccò la stessa strada senza perderla di vista.
A bordo, sul sedile del passeggero, una giovane donna dai capelli rossi tagliati a caschetto che indossava una giacca di pelle nera sotto cui portava un top, una minigonna e stivali con tacchi a spillo alti sino al ginocchio, tutti rigorosamente rossi.
<La Lyons sta andando verso New York, stiamo attraversando il Ponte George Washington.> comunicò al suo datore di lavoro.
<<Sta sicuramente cercando di raggiungere Nomad, che è stato
avvistato a New York tempo fa, ammesso che sia sempre lo stesso che conosceva.
O forse sta cercando Falcon la cui zona operativa è da quelle parti.>> l’uomo
aveva un tono affannoso, come se facesse fatica a parlare <<Poco importa. Continuate a tenerla d’occhio e riferitemi
tutto.>>
La donna chiude la comunicazione e
sorride. “Povera piccola Priscilla” pensa “Non vedo l’ora di essere di nuovo
faccia a faccia con te ma non so se ti
piacerà.”
In un luogo sconosciuto.
Tutte le persone presenti in sala vestivano di nero. Un uomo era al centro della stanza, immobilizzato, e aveva contusioni, tagli e vari altri segni di lotta.
<È lui?> domandò Madre Notte.
<Si.> rispose Crossbones <Questo figlio di cane è un agente dello S.H.I.E.L.D. infiltrato. >
<Non ci voleva> disse la donna stizzita <l’avete interrogato?>
<Si ma non c’ha detto nulla. È un duro, lo stronzo. Ma adesso ci penso io a farlo parlare.> estrasse la sua lama da polso <Gli staccherò un pezzo di carne alla volta... credimi, pregherà di poter parlare...>
<Non sarà necessario.> disse Madre Notte, chinandosi sull’uomo e prendendogli la testa fra le mani <Ho dei metodi più efficaci e che non sporcano.>
<F-Fottiti, puttana. Non ti dirò niente.> rispose stoicamente l’infiltrato.
<Tu parlerai. Mi dirai tutto quello che sai.>
Ipnotizzò il prigioniero, che dopo un invano tentativo di resisterle iniziò a vuotare il sacco e a rivelare alla donna tutte le informazioni che era riuscito a trasmettere allo S.H.I.E.L.D. .
<Merda. Dobbiamo sbrigarci.>
<Questo rifiuto ti serve ancora?>
<No. Eliminalo.>
<Bene.>
<NO... NO!> gridò l’agente ma fu del tutto inutile.
Crossbones gli afferrò il collo e glielo spezzò con un gesto secco, come se fosse un ramoscello.
<Sbarazzatevi del cadavere.> disse poi ai suoi uomini, quindi, rivolto a Madre Notte, domandò:
<Quando ci muoviamo?>
<Stanotte.> rispose la donna, risoluta.
Brighton Beach, Brooklyn, New York
Aleksandr Vassilievitch Lukin, Presidente della multinazionale Russa Kronas Inc., finì di vestirsi e poi si guardò allo specchio aggiustando la cravatta e assicurandosi che capelli e barba, neri con ampi fili bianchi, fossero in ordine. Prima di uscire dalla camera gettò uno sguardo alla giovane donna che dormiva nuda sul letto disfatto e sorrise compiaciuto.
Scese le scale e raggiunse l’atrio della villa dove lo stava aspettando il suo braccio destro Lev Ilyich Kuryakin.
<In perfetto orario come sempre, Leon> lo salutò.
<Mi paghi anche per questo.> fu la risposta.
<Sai bene che non sei solo un dirigente, ma un amico, il solo vero amico che ho, probabilmente.>
Il maggiordomo si avvicinò a Lukin e gli disse:
<La colazione è pronta, generale.>
Lukin sorrise a sentirsi chiamare col suo vecchio grado delle Forze Armate Russe. Non era stata una cattiva idea, dopotutto, scegliere alcuni dei suoi attendenti per il personale domestico.
<Grazie, Dimitri, efficiente come al solito.> rispose.
Dopo la colazione, durante la quale lui e Leon discussero di questioni finanziarie, Lukin si preparò ad andarsene e prima di uscire si rivolse al maggiordomo:
<Dimitri, di sopra c’è una signorina che sta dormendo. Se non si sarà ancora svegliata pensaci tu tra mezz’ora. Fa che abbia una buona colazione, se la desidera, e poi chiamale un taxi che l’accompagni dove vuole, a spese mie, s’intende.>
Lukin aprì la cassaforte e mise del denaro in una busta. Rifletté un istante, poi aggiunse un’altra mazzetta di banconote, quindi porse la busta chiusa al maggiordomo dicendogli:
<Assicurati che abbia questa prima di andarsene, mi raccomando.>
<Sarà fatto, Generale.> replicò il maggiordomo con un lieve inchino e uno sbatter di tacchi.
Pochi minuti dopo Lukin e Kuryakin erano a bordo della limousine che li avrebbe portati agli uffici newyorkesi della Kronas.
<Stavo riflettendo sulle nostre prossime mosse.> disse l’ex generale al suo fidato braccio destro.
<Hai qualcuna delle tue solite idee azzardate?> ribatté l’altro.
Lukin sorrise sornione e rispose.
<Può darsi, Leon, può darsi.>
Altrove.
Fissava il suo volto allo specchio; quel volto così dannatamente somigliante a quello di Steve Rogers... solo un po’ più vecchio e, dopo l’ultimo scontro avvenuto a Rio Valiente[7] con una nuova, vistosa differenza: una cicatrice sulla guancia destra, un solco lungo il viso come una specie di sorriso [8] che lo aveva marchiato a vita. Guardava quello sfregio, rimuginando, e contemplando il giorno in cui avrebbe reso la pariglia all’uomo che glielo aveva procurato.
Gail Runciter entrò nella stanza, distogliendolo dai suoi molteplici pensieri.
<Michael, ci sono gli altri.> gli disse.
<Arrivo.>
Mike Rogers raggiunse il resto della sua squadra, composta dalla spia russa nota come Iron Maiden, il supersoldato Nuke e il mutante cyborg Frank Bohannan, al secolo Crimson Commando.
<Bene, vedo che ci siete tutti.> esordì Mike.
<Si. E siamo ansiosi di sapere qual è il nuovo piano che hai escogitato.> gli chiese Frank
<Tutto a suo tempo. Sto vagliando alcune proposte. In questo pazzo mondo non mancano certo le possibilità per una squadra di contractor indipendenti come la nostra.>
<Io voglio aiutare i nostri ragazzi.> disse improvvisamente Nuke.
<E ne avrai l’occasione, Frank.> rispose Rogers <Perché andremo proprio in zona di guerra.>
E sorrise.
Tucson, Arizona
Uno scooter Vespa era decisamente il più bizzarro mezzo di trasporto che ci si potesse aspettare di veder usato da un adolescente che era anche la settima od ottava persona più intelligente del pianeta,il posto in classifica dipendeva sostanzialmente da coloro a cui lo si chiedeva.
La cosa non importava molto al ragazzo in questo momento.
Amadeus Cho era venuto a far visita alla sua famiglia. Peccato che dovesse farlo in un cimitero perché i suoi parenti erano tutti morti.
Gli avevano detto che era stato un attacco dei Marziani durante la cosiddetta Guerra dei Mondi[9] a far saltare in aria la sua casa uccidendone gli occupanti, ma, ripensandoci, c’era qualcosa in quella ricostruzione che non gli quadrava, anche se finora aveva evitato di pensarci. Perché in tutta Tucson la sola casa rasa al suolo era stata la sua? Durante gli attacchi le piccole città erano state sostanzialmente risparmiate: gli invasori si erano concentrati sulle città più importanti del Pianeta. Sì, c’era davvero qualcosa di poco chiaro.
Davanti alle tombe dei suoi genitori e di sua sorella Amadeus promise che avrebbe scoperto la verità.
Villa Carter, Virginia
L’auto della padrona di casa attraversò il vialetto, illuminandolo coi fari. Sharon era stanca; aveva voglia di un bagno caldo e di infilarsi sotto le coperte. Peccato per l’orario, pensò: a quest’ora Shannon era sicuramente a letto. Avrebbe voluto abbracciarla e coccolarla. Nel suo pazzo mondo sua figlia rappresentava la sua unica gioia, il suo unico raggio di sole in grado di scioglierle quel suo cuore di ghiaccio.
I suoi pensieri di tenerezza s’interruppero all’istante, non appena varcata la porta.
La luce dell’ingresso era spenta e non si sentiva un fiato.
Il suo istinto la mise in allarme. Estrasse la pistola dalla fondina e prese a muoversi di soppiatto.
<Smithers?> chiese, vedendo una figura nell’ombra.
Nessuno rispose. Sempre con prudenza, avanzò lungo il corridoio fino a quando non fece una drammatica scoperta: Smithers era disteso sul pavimento, pugnalato a morte al cuore.
<SMITHERS? No Signore no. >
Un brivido le attraversò la schiena, un terrore mai provato in vita sua: si precipitò verso la camera di sua figlia Shannon pregando che il suo presagio fosse errato.
<Mio Dio no. Mio Dio fa che non sia così... > pregò tra se e se.
Inutilmente.
Il letto della bambina era vuoto, e sul cuscino c’era un terribile segno: un teschio. Un teschio Rosso.
<SHANNON!!!!!! NOOOOOOOOOOO!!!! > gridò disperata. Ma la notte non le rispose.
CONTINUA
NOTE DEGLI AUTORI
Poche note in fondo.
1)
Nell’intervallo tra questo episodio e il
precedente Yelena Belova è apparsa su Lethal Honey #16/19 dove, ha collaborato
con la sua rivale Natasha Romanoff per sventare un diabolico piano del
Consorzio Ombra che minacciava i già tesi rapporti tra Stati Uniti e Russia. Il
tutto con un piccolo aiuto da parte di Devil
e dei Vendicatori Segreti. Vi invitiamo a leggere quelle storie per
avere maggiori dettagli.
2)
Pressoché contemporaneamente Sharon
Carter ha accettato da Nick Fury un incarico che l’ha portata a guidare un
bizzarro team di sole donne tra Las Vegas e le Hawaii. Se volete conoscerne i
particolari e le protagoniste, leggete Lethal Honey #20.
3)
Jerry Hunt è un personaggio creato da
Marv Wolfman & Carmine Infantino su Spider Woman Vol. 1° #1 datato aprile
1978. È un agente dello S.H.I.E.L.D. ed è stato l’interesse sentimentale di
Jessica Drew per i primi 16 numeri della sua serie originale. Dopo di allora è
apparso saltuariamente in varie serie.
In quest’episodio
abbiamo visto i nostri protagonisti agire pressoché esclusivamente “in
borghese” e concentrarsi sulle rispettive vicende personali mentre sullo sfondo
si preparano nuove minacce per il gruppo.
Se in questo e
nell’episodio precedente ci siamo presi un po’ di respiro, non pensate, però
che ce la stiamo prendendo comoda e preparatevi, perché dal prossimo l’azione e
la suspense la faranno da padroni.
Non ci credete,
venite a constatarlo di persona -_^
Carlo & Carmelo
[1] Nell’episodio #22.
[2] Cosi sono definiti i
capi delle “missioni” dei servizi segreti russi all’estero.
[3] Glavnoye Razvedyvatel'noye Upravleniye. Direzione Principale Informazioni, il
servizio segreto militare russo.
[4] Sluzhba Vneshney Razvedki, Servizio Informazioni dall’Estero della Federazione Russa.
[5] Come visto in Lethal
Honey #16/19.
[6] Federal'naya Sluzhba Bezopasnosti. Servizio di Sicurezza Federale.
[7] Nell’episodio #17.
[8] Grazie Faber J
[9] Narrata in Guerra dei
Mondi MIT #1/2 e tie-in vari.